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Divieto di rinnovo dei contratti con la pubblica amministrazione

A mente dell’art. 57, comma 7, D.lgs 162/2006 “(…) È in ogni caso vietato il rinnovo tacito dei contratti aventi ad oggetto forniture, servizi, lavori, e i contratti rinnovati tacitamente sono nulli”.

Tale divieto è conseguente al recepimento in Italia di direttive comunitarie avvenuto con la legge n. 62 del 2005, in base alla quale non è più consentito il rinnovo, anche espresso, dei contratti stipulati dalle Pubbliche Amministrazioni. In argomento il Consiglio di Stato (cfr. sez. IV, decisione 31.10.2006 n. 6462) ha rilevato che l’articolo 23 della legge 62/2005 ha eliminato radicalmente e definitivamente l’istituto del rinnovo dall’ordinamento, abrogando l’ultima parte dell’articolo 6, comma 2, della legge 537/1993, che prevedeva, sia pure a determinate condizioni, il rinnovo espresso dei contratti.

Il codice dei contratti emanato con il d.lg. 12 aprile 2006 n. 163, nel riprodurre il divieto di rinnovo tacito dei contratti aventi ad oggetto forniture, servizi, lavori, e la nullità dei contratti rinnovati tacitamente (art. 57, comma 7), contiene nello stesso art. 57 una disposizione che sembrerebbe consentire l'utilizzo dell'istituto del rinnovo, a determinate condizioni. Tale è la disposizione contenuta nell'art. 57, comma 5, lett. b), laddove si ammette la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara nei contratti pubblici relativi a lavori e negli appalti pubblici relativi a servizi, "per nuovi lavori o servizi consistenti nella ripetizione di lavori o servizi analoghi già affidati all'operatore economico aggiudicatario del contratto iniziale dalla medesima stazione appaltante, a condizione che tali lavori o servizi siano conformi a un progetto di base e che tale progetto sia stato oggetto di un primo contratto aggiudicato secondo una procedura aperta o ristretta; in questa ipotesi la possibilità del ricorso alla procedura negoziata senza bando è consentita solo nei tre anni successivi alla stipulazione del contratto iniziale, e deve essere indicata nel bando del contratto originario; l'importo complessivo stimato dei servizi e lavori successivi è computato per la determinazione del valore globale del contratto, ai fini delle soglie di cui all'art. 28”.

Sul punto “il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6458 del 31 ottobre 2006, ha affermato che l'eliminazione della possibilità di provvedere al rinnovo dei contratti di appalto scaduti, disposta con l'art. 23 l. n. 62 del 2005, ha valenza generale e portata preclusiva di opzioni ermeneutiche ed applicative di altre disposizioni dell'ordinamento che si risolvono, di fatto, nell'elusione del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici. Ne consegue che, in coerenza con la regola ermeneutica appena sintetizzata, non solo l'intervento normativo di cui all'art. 23 l. n. 62 del 2005 dev'essere letto ed applicato in modo da escludere ed impedire, in via generale ed incondizionata, la rinnovazione di contratti di appalto scaduti, ma anche l'esegesi di altre disposizioni dell'ordinamento, che consentirebbero, in deroga alle procedure ordinarie di affidamento degli appalti pubblici, l'affidamento, senza gara, degli stessi servizi per ulteriori periodi dev'essere condotta alla stregua del vincolante criterio che vieta (con valenza imperativa ed inderogabile) il rinnovo dei contratti" (cfr. T.A.R. Sicilia Catania, sez. III, 22/06/2007, n. 1086)

La giurisprudenza amministrativa più recente, conformemente alla pronuncia sopra riportata, è stata chiara nell’escludere interpretazioni che consentissero di recuperare la legittimità dell’istituto del rinnovo nei contratti con la P.A., al di fuori della ipotesi prevista dall’art. 57, comma 5, lett. b): “Il divieto di rinnovo è stato recepito e generalizzato dall'art. 57 del codice dei contratti, non solo relativamente ai lavori (oltre che come tradizione ai servizi e forniture) ma anche con riferimento al rinnovo espresso, atteso che dalla collocazione sistematica delle norme colà sancite si desume che è vietata qualsiasi ipotesi di rinnovo al di fuori dei casi espressamente sanciti dal medesimo art. 57 (fra cui vi rientra anche quello disciplinato in precedenza dalla lett. f) dell’art. 7 comma 2 d.lg. n. 157 del 1995). L'essenza del problema è che un rinnovo espresso al di fuori dei casi contemplati dall'ordinamento (oggi dal codice dei contratti, ieri dalla legge cal. "Merloni" e dalla altre fonti di recepimento fra cui il d.lg. n. 157 del 1995) darebbe luogo a una nuova figura di trattativa privata pura non consentita dal diritto comunitario; è per questa ragione che l'art. 23 l. n. 62 del 2005 ha abrogato in parte l'art. 6 l. n. 537 del 1993, perché il rinnovo espresso integra una ipotesi di trattativa privata senza bando diversa da quelle tassativamente consentite dal diritto comunitario. Consiglio di Stato, sez. IV, 31/05/2007, n. 2866

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